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E arrivò il Web 2.0 a salvare lo storytelling



Una buona narrazione è la base per una pubblicità di successo. Ricordate quando da piccoli i vostri genitori vi raccontavano delle storie per farvi addormentare? Come dimenticare quei racconti che si sono tramandati di generazione in generazione, per allietare e insegnare qualcosa ai bambini! Questo però non è l’unico esempio di storie che fanno parte della nostra vita. Infatti, fin dalle origini del genere umano la narrazione ha avuto un ruolo centrale nella diffusione della cultura.

Ancora oggi tutti noi raccontiamo storie, in questo modo possiamo trasmettere informazioni, emozioni e sentimenti, creando un legame con chi ascolta. È proprio questo il compito di una buona narrazione: far scattare nell’uomo un meccanismo che coinvolge mente e cuore.

“Gli esseri umani desiderano le storie e la pubblicità ha sempre fatto del suo meglio per utilizzare il business dei racconti per costruire un brand” (Simon Bond, CMO BBDO). Come chiarisce Simon Bond, è già da molto che i pubblicitari hanno compreso a pieno l’importanza dello storytelling (in italiano narrazione). Se è vero che il consumatore medio acquista con il cuore e giustifica il suo acquisto con la mente, allora le campagne che stimolano entrambi gli emisferi (il destro, detto anche razionale, e il sinistro, detto emozionale) potranno creare una connessione reale e duratura con il target prescelto.

Il racconto incontra la pubblicità a partire dal 1930, quando iniziano a diffondersi in America radio e televisione.

Già allora i Mad Men americani avevano capito che per suscitare curiosità, attesa, aspettative e fidelizzazione, i messaggi pubblicitari dovevano essere delle storie che raccontassero qualcosa del brand. Proprio così sono nate le Soap Opera: originariamente concepite come pubblicità a puntate con lo scopo di consolidare la reputation di alcune aziende produttrici di detersivi, sono diventate in pochi anni un genere autonomo.

In Italia lo storytelling raggiunge il culmine durante gli anni della diffusione massiccia dell’apparecchio televisivo e con il consacrarsi di Carosello, andato in onda per 20 anni (1957-1977) dalle 20.50 alle 21.00 con un successo eclatante.

Carosello si configurò come un appuntamento fisso per la famiglia italiana dell’epoca. Grazie agli sketch divertenti e leggeri la pubblicità era diventato un prodotto amato e apprezzato. Durante gli anni 80, il boom economico, tecnologico e culturale porta lo storytelling a migrare sul Web. Il ritmo di vita accelera e la comunicazione deve adeguarsi ai nuovi standard. Per questo, la pubblicità diventa più breve e concisa rispetto al passato. Si passa dagli sketch comici agli spot fatti da immagini e claim in grado di attirare magneticamente gli spettatori, imprimendo nella loro mente il brand.

Farsi notare è ormai un’impresa ardua, in un panorama costellato da brevi, anzi brevissimi messaggi pubblicitari che si alternano freneticamente, confondendo lo spettatore e finendo per urtare la sua sensibilità. Lo zapping diviene la pratica preferita dallo spettatore che tenta in ogni modo di evitare messaggi pubblicitari banali, ripetitivi e illusori.

Per fortuna interviene il Web 2.0 a salvare lo storytelling. Ancora una volta, come già accadeva per gli sketch di Carosello, il brand non è più il centro della storia, ma è ciò che la spinge e le consente di esistere. Alcuni tentano di scalare la vetta facendo leva su personaggi che hanno segnato il passato, come ha fatto Lavazza con la sua Carmencita.

Creando narrazioni capaci di catturare il pubblico grazie ad effetti speciali, musiche evocative e immagini emozionanti, il brand può farsi riconoscere, accrescendo l’awareness e la fedeltà del consumatore.

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